Nel 1849 si era già spento negli Stati Uniti d’America il ricordo delle tribù indiane che avevano popolato i territori orientali da Nord a Sud. La potente confederazione delle Cinque Nazioni degli Irochesi non esisteva più da decenni. Popoli come i Cherokee, i Miami, i Seminole, i Creek, i Chickasaw, i Coktaw, i Fox erano già stati sterminati e dove un giorno lontano erano stati piantati i loro tepee, erano sorte le grandi città dell’Est. Ben più della metà dell’intera popolazione nativa era stata annientata in nome del progresso e dell’aberrante mistificazione del “Destino Manifesto” (2), che voleva la razza bianca, in nome di una presunta superiorità, padrona dei destini e delle vite di tutti gli altri popoli.
Gli Stati Uniti d’America erano in grande espansione.
In seguito alla vittoriosa guerra contro il Messico, gli USA acquisirono 1,36 milioni di km2 di territorio messicano, nacquero così gli stati dell’Arizona, Nuovo Messico, Colorado, Wyoming oltre alla parte meridionale della California che divenne il 31° stato dell’Unione nel 1850; nuovi territori volevano dire nuovi coloni. Centinaia di migliaia di persone che invasero i territori indiani nel sud ovest degli USA, divenuti stati americani, con l’ovvia conseguenza che gli indiani che si trovarono sulle piste percorsi dai coloni vennero spazzati via.
In California con la scoperta dei giacimenti auriferi che proprio nel 1849 scatenò una gigantesca caccia all’oro, furono sterminate intere tribù di nativi, nomi di popoli dimenticati che vivevano quei territori: Mohave, Yuma, Shasta, Chilula, Chimariko e altri. E la storia si ripeté inesorabile ovunque mettessero radici i coloni o ci fosse bisogno di terre o di oro.
brano musicale:
Francesco De Gregori – Atlantide
