Storie – 5 – L’invasione delle Black Hills

storie – 5 L’invasione delle Black Hills

Storie

L’invasione delle Black Hills

Il problema è semplice. È indispensabile possedere anche i terreni dove l’oro viene trovato e prelevato affinché  questo sia davvero tuo, in caso contrario è un furto.  Quindi, essendo i Sioux i legittimi proprietari dei terreni in questione che inoltre erano considerati dai nativi territori sacri, qualsiasi prelievo del prezioso metallo fatto dai minatori bianchi era un furto. Alla stregua degli assalti banditeschi, armi in pugno, ai forzieri delle banche. Scenari diversi, certo, ma a ben vedere con caratteristiche criminali non così differenti. Sparano e uccidono sceriffi, guardie e clienti i banditi; sparano e uccidono gli indiani i minatori. E naturalmente le reazioni e i trattamenti riservati ai protagonisti erano radicalmente opposti.

Contro i banditi si scatenavano le Posse, i bounty killers (1), gli sceriffi e spesso anche l’esercito e la caccia a costoro era spietata; di contro i minatori restavano sempre impuniti e anzi le leggi per quanto li riguarda erano inesistenti e, inoltre, erano protetti e difesi dall’esercito contro le reazioni degli indiani. Il motivo è semplice. L’oro nelle tasche dei banditi arricchisce solo loro. L’oro depositato dai minatori “fa muovere l’economia”, e arricchisce banche e commercianti, e solo in parte quei pochi minatori che sono riusciti a non farsi truffare da banchieri e speculatori.

Il primo atto è dunque il furto. Il secondo, figlio del primo, è l’invasione dei territori indiani, per risolvere il fastidioso disguido dei suoi abitanti Sioux, i quali, per loro disgrazia, vivono proprio nelle terre dove c’è l’oro e che hanno anche la bizzarra pretesa di voler difendere le loro vite e le loro case.  

E l’invasione era il problema crescente che preoccupava persino Nuvola Rossa, il quale, nella circostanza, non si  volle accontentare della sua rassegnazione. Protestò energicamente, quanto inutilmente, chiedendo che fosse l’esercito a far sgombrare i minatori dalle Black Hills.

Quando la confusione creata dai minatori divenne troppo evidente l’esercito americano cercò di convincere i cercatori d’oro a darsi una calmata, usando però molto le parole e in nulla le armi, o almeno la minaccia di usarle se non avessero sloggiato. Era una palese violazione del trattato di Fort Laramie del 1868. Violazione che se compiuta dai Sioux sarebbe costata loro l’ennesimo massacro. In quell’occasione ci furono inviti ai minatori a ricorrere al buon senso, raccomandazioni a usare prudenza. Poi, dopo qualche caldo caffè e un buon sigaro fumato in amicizia fra soldati e cercatori d’oro, questi ultimi ripresero tranquillamente a scavare.

Il seguito è ben noto. Il viaggio verso il disastro iniziò quando da Washington inviarono una grande spedizione nel cuore delle Black Hills, sotto la guida di  Custer. Ufficialmente con scopi scientifici e compiti di ricognizione, in realtà doveva servire a verificare le voci insistenti che raccontavano di grandi giacimenti auriferi nei Black Hills. L’esito lo conosciamo: la Pista dei Ladri, creata da Custer, aprì le sacre colline all’invasione definitiva.

La storia racconta come finì la corsa.

Prima la grande battaglia del Little Big Horn, a seguire la caccia ai Sioux, spietata, feroce, senza tregua e con tutti i mezzi e i soldati a disposizione. Fino a costringere i vecchi capi, Nuvola Rossa in testa, a vendere le Black Hills.

brano musicale Neil Young – Cortez the killer

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